Top Gun: Maverick, perché il film è un’esperienza che attraversa le generazioni scritto da Federica Marcucci 7 Giugno 2022 A lungo atteso dai fan di tutto il mondo Top Gun: Maverick sembrava già essere uno di quei blockbuster capaci di mettere tutti d’accordo ai tempi del suo annuncio. L’effetto nostalgia a cui si mescolano azione e romanticismo sulla carta era già potenzialmente vincente. Eppure nessuno, forse neanche Tom Cruise, si sarebbe aspettato un successo come quello a cui stiamo assistendo in questi giorni. A due settimane dall’uscita Top Gun: Maverick vola ancora altissimo, superando i 500 milioni di dollari negli Stati Uniti e i 7 milioni di euro in Italia e puntando dritto al miliardo. Una cifra da capogiro che potrebbe diventare non solo il record d’incassi per Tom Cruise in tutta la sua carriera, ma anche un nuovo record per un film non Marvel uscito nei cinema dopo la pandemia. Come tutti sanno infatti sono due i blockbuster che sono riusciti a portarsi a casa risultati considerevoli (Spider-Man: No Way Home con 1,8 miliardi e Doctor Strange nel Multiverso della Follia 909,4 milioni). Risultati che non andrò a commentare in questa sede ma che, senza alcun dubbio, lasciando intendere un cambiamento di tendenza da non sottovalutare per quello che riguarda la sala cinematografica. Sappiamo tutti che con le piattaforme la ritualità della sala cinematografica sta cambiando, per questo motivo è davvero molto interessante capire come si comporta il grande pubblico a fronte dell’uscita dei grandi titoli. Gli unici che, a oggi, nel bene e nel male riescono a portare tante persone al cinema. Tom Cruise questo lo sa bene e, come dichiarato da lui stesso allo scorso Festival di Cannes, il suo obiettivo è quello di fare film per la sala. Film che possano essere dei veri e propri spettacoli da godere appieno solo ed esclusivamente in quel determinato contesto. Non succederà mai che i miei film non vadano in sala. La reazione del pubblico è fondamentale. Io vado spesso al cinema, con il berretto e i popcorn, mi piace sentire i commenti della gente, non smetto mai di imparare. Amante dell’adrenalina e personalità dalle mille contraddizioni, ma anche apprezzato per la sua professionalità, l’attore si è dimostrato lungimirante oltre che capace di andare ben oltre la creazione di un mero prodotto per l’intrattenimento. Top Gun: Maverick è infatti un’esperienza. Un momento di condivisione che attraversa le generazioni e che riesce in nome di un vero e proprio evento (quale è dopotutto) a riportare in massa al cinema anche persone, singole e in gruppo, che a seguito della pandemia non erano ancora tornate in sala. Dal canto mio non avevo dato troppo peso a questo aspetto perché ormai andare al cinema fa parte del lavoro e, complice un po’ di disillusione, non mi ero soffermata sul tipo di accoglienza che sarebbe stata riservata a Top Gun: Maverick. Poi è successo che non sono andata a vedere il film in occasione dell’anteprima stampa e ho deciso di recuperarlo al cinema appena possibile. Quando sono andata Tom Cruise era già tornato a volare da una settimana e il titolo stava andando benissimo, ma è stata la mia particolare esperienza di visione a farmi apprezzare Top Gun: Maverick per quello che realmente è ma anche per quello che, credo, voleva essere. Dopo tanti anni, troppi, sono tornata al cinema con il mio papà in una sorta di rievocazione di quei tempi in cui si andava a vedere il classico Disney di turno. Chissà, se avessi visto il film in un’occasione diversa magari sarei arrivata alle stesse conclusioni ma credo che questa esperienza di visione condivisa mi abbia fatto riflettere su quanto Top Gun: Maverick sia pensato per metterci in comunicazione con la generazione precedente. Così come tanti altri papà o mamme, anche il mio nel 1986 era corso al cinema per andare a vedere le acrobazie di un giovane e irruento Tom Cruise alle prese con il primo grande amore e il primo grande dolore della vita. Il tutto sullo sfondo di un’epoca possibilista e scanzonata ora tornata di moda, ma che i Millennials e i Gen Z possono solo immaginare o guardare attraverso gli occhi delle serie tv come Stranger Things o Bang Bang Baby. Dopo più di 30 anni il ritorno di Maverick, che da giovane inquieto è ormai un uomo alle prese con i suoi fantasmi, con un lutto mai superato e con una nuova responsabilità paterna nei confronti del figlio del suo migliore amico, ci porta nel presente. Un’epoca, la nostra, in cui i ragazzi di ieri sono cresciuti mentre quelli di oggi fanno i conti con le incertezze del domani, senza tuttavia rinunciare ai propri sogni. Riproporre la dinamica del rapporto padre-figlio sullo schermo, quello tra Pete “Maverick” Mitchell e Bradley “Rooster” Bradshaw, non è altro che raccontare i gap e punti di incontro tra genitori e figli: tra nostalgia della giovinezza da una parte, curiosità di riscoprire il passato dall’altra – come del resto sta accadendo proprio con Running Up That Hill in Stranger Things 4 ma anche voglia di guardare avanti. Ed ecco perché Top Gun: Maverick funziona. Pur prendendo le mosse da ieri non si ferma, anzi sfrutta l’aggancio della sua identità per crearsi un nuovo pubblico e dare vita a una storia nuova sicuramente più consapevole, matura e figlia dei nostri tempi.