Tipe da volontariato: Claudia, la Romania e la Caritas scritto da admin 15 Marzo 2008 Claudia vive vicino a Milano e studia filosofia all’Università. Ha diciannove anni, e da due trascorre ogni estate due settimane a Slobozia (Romania) come volontaria, esperienza che ha deciso di ripetere anche quest’anno. Abbiamo deciso di intervistarla per capirci un po’ di più sulla sua esperienza, sperando che possa incuriosire anche voi ragazze! Come sei arrivata da Milano fino in Romania? Tre anni fa i responsabili dell’oratorio che frequento ci proposero come esperienza estiva due settimane di volontariato all’estero, attraverso la Caritas. Aderimmo in dieci e l’esperienza ci piacque talmente che da allora speriamo di ripeterla ogni estate! Perché hai aderito alla proposta? Cosa ti aspettavi? Non sapevo a cosa andassi incontro né quali fossero le motivazioni che mi potessero portare fino in Romania. So solo che mi immaginavo un’esperienza forte in un Paese povero, ma era un’incognita: l’ho vista come una sfida da cogliere. Com’è in realtà la vita in Romania? La gente è molto povera. I più fortunati vivono in case di pietra, i più poveri tra mattoni e fango e quindi hanno non pochi problemi con le piogge invernali. Per dare un esempio di povertà che ho incontrato, potrei parlarvi di una famiglia con cinque bambini piccoli che viveva in una "casa" di paglia e fango, con i buchi nelle pareti, una sola stanza e un solo materasso per tutti. Niente luce, niente bagno, niente acqua. Né dentro, né fuori. Il padre al lavoro dalle 5 del mattino fino alle 10 di sera e la madre, di appena trent’ anni, in casa ad accudire i figli, sporchi, con le mosche che gli ronzavano attorno… ma sempre sorridenti! Sono rimasta colpita poi dal fatto che i pavimenti siano ricoperti da tantissimi tappeti, per nascondere la grandissima sporcizia che c’è sotto, e soprattutto che tutti ma proprio tutti abbiano la televisione, “ricordo” del regime di Ceausescu. Ora che non c’è più la dittatura comunista, la gente si deve arrangiare come può: a dover pensare a tutto non è più il governo, ma la popolazione che ne rimane spaesata. E’ un popolo che si arrende al proprio destino, a cui si legge la rassegnazione negli occhi: ha quello sguardo di chi ormai ha accettato l’estrema povertà e, non avendo mezzi economici, perde la forza di reagire. E lo sforzo che stanno facendo le suore che ci hanno ospitato (pensate che al loro arrivo in Romania, alcuni anni fa, non essendoci ancora la struttura della Caritas, vivevano in un sottoscala in compagnia di animaletti poco simpatici come topi e scarafaggi…) assieme a Cristi, un giovane, sposato, responsabile della Caritas del luogo e ad uno dei pochi preti cattolici rumeni in un paese a maggioranza ortodossa, don Octavian, che gestisce l’oratorio, è proprio quello di spronare queste persone a lavorare e impegnarsi per costruirsi una vita più dignitosa, per loro e per il futuro dei loro figli. Come siete stati accolti? Benissimo, la gente lì è molto accogliente. Pensate che è abitudine, quando si hanno ospiti in casa, continuare a servir loro cibi e bevande ogni volta che li finiscono, senza chiedere nulla. E poi soprattutto ci ha colpiti l’affetto dei bambini nei nostri confronti. Ad ogni nostra proposta partecipavano con entusiasmo e si facevano benissimo capire, pur non parlando la nostra lingua. Quali erano i vostri compiti in Romania? Ogni mattina animavano una quarantina di bambini, in maggioranza zingari o comunque molto poveri e senza genitori, all’oratorio feriale. Dopo un primo momento di accoglienza con canti, balli di gruppo e preghiera, proponevamo loro alcuni lavoretti manuali, quindi si dava a tutti la merenda (molti di loro non avrebbero pranzato nelle proprie famiglie) e infine si organizzavano giochi nel cortile. Al pomeriggio invece ci recavamo nelle case famiglia che accolgono bambini con problemi o abbandonati, persone autistiche e anziani. Giocavamo coi malati più lievi, tutti in cerchio, con la musica in sottofondo, mentre quelli in carrozzina facevano da spettatori. Portavamo gli anziani in cortile per farli ballare e cantare. Poi accompagnavamo il responsabile della Caritas locale presso ogni famiglia della zona cui portava pacchi contenenti cibo e beni di prima necessità, l’occasione migliore per noi per conoscere le vite e le storie delle persone. Ci racconti qualche episodio particolare che hai vissuto? Innanzitutto ricordo i bambini. Prima di tutto Stefan, che era convintissimo mi chiamassi “Clona” e non c’era modo di fargli cambiare idea e che poi mi ha riconosciuta e salutata in una cattedrale ortodossa dove ci siamo incontrati di nuovo. Poi quelli malati di Aids che portavamo a passeggiare in carrozzina. E ancora Vasile e i suoi pianti l’ultimo giorno della nostra permanenza a Slobozia. Ora sappiamo che i suoi genitori sono partiti per la Spagna e non si sa se e quando ritorneranno. Infine ricordo la notte in cui abbiamo fatto dormire all’oratorio i bambini che abitavano più lontano. Prima di farli addormentare li abbiamo lavati, con spugne ruvidissime e detersivo per i piatti perché c’era solo quello, e subito dopo si sono dovuti rimettere i vestiti sporchi che indossavano prima perché non ne avevano altri. Poi ricordo il pomeriggio in cui un gruppo di miei amici si è dedicato totalmente alla trasformazione di un cortile da “discarica” a orto (e anche quando, un anno dopo, ci siamo ritornati ed era tutto come prima). E infine un altro pomeriggio che abbiamo trascorso a pelar patate o ancora la “pasta allo zucchero”, loro specialità odiatissima da una mia amica. Perché hai deciso di ritornare in Romania? Per il popolo, la gente che abbiamo conosciuto, soprattutto gli animatori rumeni, che abbiamo apprezzato moltissimo per la disponibilità. Ciò per cui più siamo loro grati è il fatto che, seppur essi stessi vivano in situazioni veramente difficili, continuino ad impegnarsi per aiutare gli altri. E il loro è sicuramente un primo passo importante. Questi giovani sono la speranza per un cambiamento, per il futuro del loro Paese. E poi io stessa ho toccato con mano quanto sia bello darsi per gli altri, anche se forse è molto di più ciò che ricevi, soprattutto dai bambini, che hanno un evidentissimo bisogno di affetto poiché in molti casi non hanno mai conosciuto i genitori, emigrati all’estero in cerca di una vita migliore. Cosa hai imparato da quest’esperienza? Cosa è cambiato nella tua vita? Ho imparato a sorridere a chiunque incontri pur nella sofferenza, perchè i sorrisi che abbiamo saputo dare e soprattutto quelli che abbiamo ricevuto ci hanno riempito in ogni momento il cuore di gioia. Poi ho imparato a guardare meno a me stessa, a metter da parte un po’ il mio egoismo, ad aprire gli occhi verso l’esistenza di realtà bisognose. E poi ho capito che non a tutti è richiesto di andare all’estero a fare volontariato, ma a tutti è richiesto di fare qualcosa nel posto in cui sono. Ad esempio uno dei miei amici ora vorrebbe recarsi in Romania per un periodo molto più lungo, mentre noi altri abbiamo deciso di impegnarci nel sociale qui, sempre attraverso la Caritas: per gli anziani, i bambini, i carcerati… Come si può fare volontariato con la Caritas, sia all’estero sia in Italia? Innanzitutto si può visitare il sito Internet nazionale, per farsi un’idea delle esperienze che propone, poi ci si può far conoscere anche via mail. Ad esempio il sito della Caritas di Milano permette di compilare on line una scheda in cui indicare le aree di intervento preferite (e ce ne sono tantissime: Aids, anziani, attività di segreteria, campi di lavoro, carcere, corsi di formazione, handicap, minori, Servizio Civile in Italia e all’estero, oratorio, ospedale, salute mentale, senza fissa dimora, stranieri, tossicodipendenza, volontariato europeo e internazionale, Caschi Bianchi) e quindi essere contattati telefonicamente per fissare un colloquio. Comunque solitamente si può fare volontariato per la Caritas anche nel proprio paese o città, senza andare tanto lontano insomma! Le foto 2, 3 e 4 sono state scattate da Claudia durante la sua permanenza in Romania e puoi vederle meglio nella photo gallery!