The Kissing Booth e To All the Boys: due saghe a confronto scritto da Federica Marcucci 13 Agosto 2021 A distanza di pochi mesi dalla conclusione della saga di To All the Boys, anche quella di The Kissing Booth è volta al termine con l’arrivo del terzo capitolo. A questo punto scatta quasi automaticamente un confronto tra due prodotti molto diversi che però si rivolgono allo stesso target. Che cosa resterà di The Kissing Booth e di To All the Boys? Intanto facciamo un breve recap. Come abbiamo già detto molti sono i punti di contatto tra queste due saghe. Entrambe sono tratte da una trilogia di romanzi (rispettivamente di Beth Reeckles e di Jenny Han), sono state prodotte da Netflix e si rivolgono a un pubblico di giovani un adulti. In entrambe le storie abbiamo due filoni principali: una relazione amorosa, con i suoi alti e bassi, e la “coming of age story” della protagonista, con non pochi punti di contatto. Basti pensare al tono scanzonato dei primi due film di entrambe le saghe e alla ricerca di una maggiore maturità via via che ci si avvina alla conclusione. Tutto questo viene però affrontato con modalità e scelte (sopratutto di sceneggiatura) molto diverse. Lara Jean ed Elle Nonostante le protagoniste di To All the Boys e The Kissing Booth, Lara Jean ed Elle, si trovino a vivere esperienze simili – che si tratti della crisi di coppia, dell’arrivo di un nuovo interesse amoroso o della scelta del college, l’approccio con quale questo viene mostrato al pubblico si fonda su basi che fanno prendere ai film direzioni opposte. Questo si nota più che mai proprio nei capitoli 3 delle rispettive saghe, in cui le protagoniste sono chiamate a prendere una decisione importante sul loro futuro. Se avete visto la saga di To All the Boys ricorderete bene il conflitto interiore di Lara Jean, la quale si trova costretta a trovare un difficile equilibrio tra i suoi desideri e quelli di Peter. Un processo complicato, ma che viene descritto in modo non banale e soprattutto realistico. Qualcosa che invece non accade in The Kissing Booth 3. Nell’ultimo capitolo della saga, che soffre di evidenti problemi di sceneggiatura su cui non ci soffermeremo (!), Elle è un concentrato di egoismo e vittimismo. Non meglio Noah e gli altri personaggi, caratterizzati come macchiette stereotipate che si ritrovano a compiere dal nulla scelte importanti. Anche in questo caso ritroviamo come in To All the Boys le tematiche della crescita e della ricerca della propria individualità, peccato che quanto ne consegue sembri arrivato all’improvviso e non frutto di un reale processo dei protagonisti. Un qualcosa che rende l’intera vicenda sì godibile, ma ovviamente superficiale. Forse anche voi vi sarete chiesti: “Da dove è arrivata questa passione smisurata di Elle per i videogiochi?” e “Perché nessuno ci si era mai soffermato prima?” In poche parole tutti fanno e disfanno cose dal nulla e, sopratutto, sono costantemente in lite per i motivi più banali. Non possiamo poi accennare al modo in cui viene gestita sul finale la relazione tra Elle e Noah. Era chiaro che gli autori avevano in mente qualcosa di molto diverso rispetto a To All the Boys. In effetti, poteva essere anche un’occasione per mettere in luce dinamiche relazionali diverse. Anche in questo caso si opta però per una risoluzione facile facile, in cui l’assenza di problematicità e di un confronto vero tra i protagonisti dà vita a una vicenda con un lieto fine davvero troppo scontato. Il lieto fine Entrambe le saghe hanno un lieto fine aperto, non sappiamo dunque cosa accadrà ai protagonisti ma tutto lascia supporre che resteranno insieme. Non abbiamo un problema con i finali lieti… purché siano scritti bene! La conclusione a cui arrivano Lara Jean e Peter, legata alla scelta del college e alla loro relazione a distanza, è frutto di un processo importante in cui assistiamo a una crescita reale dei due protagonisti. Qualcosa a cui la saga di To All the Boys ci aveva abituato sin sa subito, proponendoci dei personaggi fortemente caratterizzati – anche dal punto di vista culturale. Pensiamo a tutto il bellissimo sottotesto legato alla cultura sud coreana. Il punto di approdo di Elle e Noah è il risultato di tutta una serie di scelte, come abbiamo già detto, facili che sin dall’inizio sono state prese dai creatori. L’idea del timeskip e del farci rivedere i due protagonisti dopo ben 6 anni dalla loro rottura poteva avere del potenziale, ma la risoluzione nel complesso è troppo banale per risultare credibile. Un’occasione sprecata e che forse poteva essere il punto di partenza per dire qualcosa in più sul “timing” delle relazioni e su come cambiano le persone nel corso del tempo. In conclusione Gusti personali a parte, è chiaro che The Kissing Booth e To All the Boys abbiano preso direzioni opposte perché nascono con intenti simili ma diversi: più da intrattenimento il primo, più introspettivo il secondo. Quest’ultima caratteristica rende, secondo noi, To All the Boys una saga dal valore aggiunto che con tutta probabilità sarà apprezzata anche tra qualche anno.