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Sponsor, il primo motore dello sport

scritto da admin

Merito degli sponsor, che hanno trasformando i migliori sportivi del mondo in aziende, grazie a contratti pluriennali rigorosamente a sei zeri.

Woods
Il caso più eclatante è quello di Eldrick Tiger Woods, asso del golf e primo giocatore di origine afroamericana della storia a dominare i green di tutto il mondo: nell’ultimo anno ha guadagnato una cifra astronomica  pari a 100milioni di dollari (101.941.827, per l’esattezza); ma solo un decimo dei compensi totali è dovuto ai premi vinti sul campo.
In carriera Tiger ha vinto 12 tornei Major, 4 Master e 57 Pga: insomma tutto ciò che c’era da vincere, lui lo ha vinto. E il rimanente 90% del fatturato? Salta fuori da sponsorizzazioni (Nike su tutti), contratti pubblicitari, merchandising, promozioni, vendita di libri, dvd, addirittura portachiavi a forma di pallina con la sua faccia disegnata sopra.

Cannibali
Quando un campione domina la sua specialità, è più facile che diventi un personaggio in grado si attirare un numero di sponsor sempre maggiore. Michael Shumacher, oltre ai 7 titoli di Formula1 vinti con Ferrari (6) e Benetton (1), è riuscito a portare a casa (prima del suo ritiro dalle corse avvenuto nel 2006), qualcosa come 50milioni di euro l’anno, di cui solo una piccola parte legata al contratto con la scuderia. Non è un caso che Schumi, subito dopo il ritiro, sia diventato subito  un testimonial del furgone Fiat Scudo su giornali, radio e Tv.
Valentino Rossi, poi, è il vero Paperone delle due ruote, grazie alla sua straordinaria bravura in sella alla Yamaha e alla sua trascinante simpatia. La rivista Forbes ha calcolato che i suoi incassi si aggirino sui 22,9 milioni di euro l’anno. Oltre che in sella alla moto, con tuta e casco ricoperti di sponsor, il buon valentino si è distinto per aver prestato il suo volto a numerosi spot televisivi: dal lontano esordio come testimonial di un bastoncino di pollo della Fileni Simar Srl, Rossi ha sponsorizzato l’Aprilia, la Ip, la Peroni, la Fox Petroli, il Cepu, il colosso franco-iberico del tabacco Altadis, la ditta di collanti Kera Koll, Alice (poi rinnegata per Fastweb), l’Agv caschi e la Danese tute.
La gestione della sua immagine è attualmente affidata all’azienda britannica Hickside, con ufficio in Sackville street, nel cuore di Londra, dove lo stesso Valentino ha la residenza.

Alonso
Il record di sponsor stipulati tramite il binomio corridore-scuderia appartiene quest’anno a Fernando Alonso, soprannominato “Re Mida” per la capacità di trasformare in oro ogni marchio che tocca. Le scritte sulla sua tuta e il suo casco fruttano alla McLaren (e in parte anche a lui) ben 135 milioni di euro l’anno. Tra la miriade di scritte troviamo di tutto: aziende di telefonia, trasporti, assicurazioni, hi-tech, whisky, caffè, serramenti, petroli, software, abbigliamento e orologi.

Sulle maglie
Nel mondo del calcio, poi, la visibilità è garantita dagli sponsor sulle maglie, che trasmesse in tutto il mondo, raggiungono ogni partita nazionale e internazionale milioni di telespettatori. Le scritte sulle divise rappresentano entrate cospicue per tutti i maggiori club, con vette da capogiro: lo Schalke04, squadra tedesca, ha siglato un contratto con l’azienda di gas Gazprom per ben 25 milioni di euro l’anno per 4 anni. Segue l’inglese Manchester United, con 20,8 milioni di euro grazie al gruppo assicurativo  AIG, e il Real Madrid con 20 milioni l’anno dall’agenzia di scommesse  Bwin.

Sponsor tecnici
Nel football sono comunque i contratti dei marchi sportivi con i singoli giocatori a fare la parte del leone. Associare il proprio business all’immagine di un calciatore vincente può far lievitare le vendite di prodotti tecnici in campo sportivo. Per questo i colossi dell’abbigliamento come Nike, Adidas e Puma si contendono a suon di milioni i piedi dei giocatori più rappresentativi. Pagare talenti come Ronaldinho, Henry e Kakà perché indossino le scarpe dello sponsor è diventata una abitudine consolidata.

In un caso, però, la sponsorizzazione si è rivelata controproducente. Dopo la prima partita dell’Europeo 2004, Italia-Danimarca, Francesco Totti giustificò la sua scialba prestazione dicendo che era colpa delle “scarpe scomode che mi hanno fatto venire le vesciche”. La Nike non fece certo una bella figura, tanto più dopo che il campione romanista decise l’anno successivo di passare al marchio italiano Diadora.

 

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