Sherlock 4×3: la recensione di The Final Problem (spoiler) scritto da Alice Giusti 17 Gennaio 2017 Se non avete ancora visto la 4×3 di Sherlock, sconsigliamo di proseguire nella lettura in quanto il testo contiene spoiler. Tra la mente e il cuore, è sempre il secondo a vincere. Anche se ti chiami Sherlock Holmes. È con questa morale che si chiude (per ora) il cerchio delle avventure dello Sherlock della BBC, interpretato da un sempre magistrale Benedict Cumberbatch. Questa stagione ha stupito tutti gli spettatori per il cambio di registro e narrazione, dove i classici casi risolti con il genio deduttivo del detective privato sono stati messi un po’ in disparte, per fare posto a una trama più ampia e tutta volta a portare a termine un percorso che Sherlock aveva progressivamente e lentamente iniziato a percorrere nelle precedenti stagioni, ossia un viaggio alla scoperta dei suoi sentimenti. Perché The Final Problem, il problema finale che grava sull’investigatore privato, ruota tutto intorno alla famiglia e ai suoi sentimenti. Perché Sherlock Holmes è diventato il sociopatico altamente funzionale che tutti abbiamo conosciuto e amato? La risposta, abbiamo scoperto nella 4×3 di Sherlock, non è di natura genetica: scopriamo che il detective era un bambino molto sensibile, il cui futuro è stato determinato da un trauma emotivo talmente forte da averlo portato a rimuovere quanto successo e spengere la sua parte affettiva. È proprio Euros, la terza sorella Holmes, descritta dallo stesso Mycroft come “più intelligente di Newton”, “un genio di un’era”, ad avere trasformato il percorso di Sherlock, facendo scomparire Redbeard, che in realtà era il migliore amico dell’investigatore da piccolo, Victor Trevor, con cui giocava sempre ai pirati. Lo stessa scelta di fare entrare nella sua vita John Watson deriva dall’esigenza, seppur inconscia, di colmare quel vuoto creato dal lutto per l’amico perduto in gioventù. Rinchiusa da Mycroft a Sherrinford, un carcere speciale per “irrecuperabili”, Euros riesce ad attirare nella propria trappola i due fratelli, accompagnati come sempre dal Dottor Watson, e li sottopone a una serie di prove da risolvere non tanto con la logica quanto con scelte legate alla sfera emotiva. In questo senso, il momento in cui Sherlock dà in escandescenza dopo avere mentito a Molly Hooper sul fatto che la ama per poterla salvare è il punto di svolta nella trama, quello in cui il detective toglie ogni barriera tra sé e l’altro e riconosce ed esterna il proprio affetto per le persone che gli sono più care. La sfera dei sentimenti, più che le sue capacità di deduzione, sono ciò che gli permette di risolvere il problema finale, salvando sia la bambina sul volo che stava per schiantarsi su Londra e il suo amico John Watson: cioè capire che alla fine, quella bambina era sua sorella che necessitava solamente di un po’ di amore. Ed è forse questo aspetto, che certo è utile al percorso personale di Sherlock, a rendere un cattivo potenzialmente perfetto come Euros in un villain non poi così cattivo. Da questo punto di vista, Moriarty, che finalmente appare nella puntata in un flashback sulle note di I Want To Break Free dei Queen (da solo vale la visione dell’episodio), rimane comunque il cattivo per antonomasia nella sua geniale follia e spietata crudeltà senza rimorso. Tuttavia, il focus della puntata ruota intorno alla famiglia e anche la figura di Mycroft Holmes finalmente esce allo scoperto in tutta la sua fragilità, insicurezza e profonda umanità sia nel farsi carico di tante bugie per proteggere i genitori e il fratello più piccolo sia essendo disposto da subito a sacrificarsi al posto di John Watson. Perché John Watson e Sherlock Holmes sono a tutti gli effetti una famiglia (una famiglia allargata con la presenza di Molly, Mrs Hudosn e Lestrade) e la benedizione di Mary in un video postumo ne è solo la consacrazione. La ricostruzione dell’appartamento di Baker Street segna il ritorno alla vita “normale” dei due fatta di crimini e di casi da risolvere, ma sono gli uomini, più maturi e cresciuti, ad essere diversi, con Sherlock diviso senza problemi tra le due sue famiglie. In questo senso, è stato proprio Steven Moffat a dire in un’intervista che la serie tv Sherlock sia una sorta di prequel rispetto alle tradizionali avventure di Sherlock Holmes, che nell’opera di Arthur Conan Doyle e nei film più famosi, è molto più simile allo Sherlock di The Final Problem che a quello della prima stagione. The Final Problem è sicuramente stata una puntata ben costruita, una delle migliori della serie, al netto di alcuni plot holes. Sebbene possa effettivamente essere un finale di serie soddisfacente, noi speriamo che si sia trattato solo di un finale di stagione: non siamo ancora pronti a lasciare Sherlock Holmes e John Watson con i volti di Benedict Cumberbatch e Martin Freeman e le loro mirabolanti avventure. Leggi anche: La recensione della 4×1 di Sherlock, The Six Thatchers La recensione della 4×2 di Sherlock, The Lying Detective A voi è piaciuta la 4×3, The Final Problem, di Sherlock?