Sanremo 2012, Marco Guazzone: quando un animo classico si fonde con il rock scritto da Alice Ziveri 3 Febbraio 2012 E’ affascinante ascoltare qualcuno che parla con passione e trasporto della propria musica, qualcuno che abbia una storia da raccontare. Marco Guazzone, uno degli otto finalisti di Sanremo Social, ha solo 22 anni ma giù un’ampia competenza, derivata non soltanto dagli studi (pianoforte, composizione e musica da film), ma anche dall’esperienza di anni di live nei locali italiani e londinesi: oltre 200 concerti con il suo gruppo, gli STAG, e numerosi altri da solista. “Ma ancora continuo a studiare” dice “Piano e canto, mentre insegno ai bambini per tenere allenata la testa”. Marco si presenterà a Sanremo con Guasto, brano che anticipa l’uscita dell’EP d’esordio in uscita a metà Febbraio. “Tutti i brani che sono nell’album sono i primi che ho scritto in italiano: conoscendo bene anche l’inglese, quando ho iniziato a scrivere mi è venuto spontaneo farlo in inglese. E’ più semplice. Ma la nostra lingua offre infinite possibilità, ho voluto sfidarmi ad usarla.” L’abbiamo raggiunto telefonicamente e, nonstante ripetute cadute di linea che cercavano di minare questa chiacchiertata, è riuscito a raccontarsi con grande efficacia. Come descriveresti la tua musica a chi non ti conosce? Forse la particolarità della mia musica è che unisce due anime. Quella romantica, della musica classica e del pianoforte e voce, e quella del mio gruppo, più rock, dalle sonorità più compatte. Più che le parole, è forse il logo la presentazione migliore: il cervo, questo animale maestoso ma comunque elegante, incarna la parte rock – un rock con sfumature di altri generi, date dal background dei diversi musicisti. E poi le rose, che rappresentano un mondo più classico: il pianoforte, la mia anima intimista. L’ha disegnato mio fratello, che è grafico, e penso sia riuscito a fare una buona sintesi: alla fine non mi sento nè solo un cantautore, nè solo parte di un gruppo. Il tuo gruppo, gli STAG… La formazione va da uno a cinque componenti. Essendo tutti polistrumentisti, variamo molto a seconda dei contesti e riusciamo a gestirci in maniera più rock, più acustica, più elettronica.. è un progetto in continua evoluzione, anche perchè penso che sia difficile, con la musica, cercare di incasellarsi in un solo genere: la cosa bella è proprio mischiare diverse radici e ispirazioni. E quali sono i tuoi principali riferimenti musicali? Cerco ispirazione da più campi possibili. Sono molto affascinato dai gruppi che, nella musica leggera, riescono a contaminare il loro genere con uno strumento classico come il pianoforte, rendendolo moderno: Coldplay, Muse, Radiohead… Pur senza togliergli l’eleganza e l’immediatezza che lo caratterizzano: è uno strumento completo, che in sè racchiude l’espressione di tutti gli strumenti che esistono e che può toccare qualunque tipo di registro. Poi, naturalmente, tanta influenza mi viene dal mondo classico, soprattutto il periodo romantico. Dovendo citare un autore, direi Chopin. Ovviamente i maestri italiani, che però ho scoperto dopo rispetto alla musica straniera: Tenco, De Andrè, Battiato… Infine, sono molto affascinato dalla musica da film: Philip Glass, Alexander Desplat… Paradossalmente è un po’ quello che facciamo noi, perchè essendo in cinque con cinque esperienze e mondi diversi alle spalle, portiamo cinque generi diversi nella nostra musica. Proprio come succede in una colonna sonora, che passa dallo spensierato al drammatico a seconda dei momenti del film; e non le si dà una definizione. Così come è difficile per noi definirci. Come mai la scelta di provare a partecipare a Sanremo? Mi sono reso conto che in Italia la musica deve passare per la televisione. Altri format, semplicemente, non lo permettono: io ho bisogno del pianoforte per esprimermi, e a X Factor non posso farlo. Sanremo rimane l’unico che ti dà l’opportunità di suonare uno strumento e di portare un brano tuo, che ti rappresenta. Posso fare il compromesso di portare la musica in televisione, ma non al patto che mi snaturi: se quello che sei passa per un pianoforte, e non c’è un pianoforte… è difficile! Come ti senti all’idea di salire su quel palco? Non ho ancora realizzato, quando mi renderò conto credo che mi prenderà una crisi di panico! Che poi il palco è relativo, la cosa che forse mi preoccupa di più sono gli otto milioni e passa di telespettatori! Spero che la gavetta, i posti piccoli, dove hai le persone attaccate al pianoforte che ti fissano, mi aiutino a restare concentrato e professionale. Come mai non vi siete presentati come gruppo? Abbiamo deciso di presentarci nella maniera più idonea al contesto, che non ha mai dato particolare rilievo ai gruppi. Gli altri saranno comunque sul palco perchè sono nella canzone, ed inoltre il co-compositore Stefano Costantini dirigerà l’orchestra. Abbiamo anche scoperto che sarà il più giovane direttore d’orchestra della storia del Festival! Cosa puoi dirci della tua canzone, Guasto? Il titolo non viene dall’aggettivo, ma dalla località dove è stata scritta, Guasto. Un borgo in provincia di Isernia. Dovevo fare questo concerto in una location molto affascinante, il pianoforte era davanti ad una chiesa in aperta campagna, circondato dal paesaggio. Ero da solo, e avevo già finito il soundcheck: sono rimasto a suonare e, immerso in questa cornice incredibile, ho iniziato a scrivere un piccolo tema. Mi piace intitolare le canzoni con qualcosa che mi ricordi dove le ho scritte, così l’ho chiamata Guasto: ovviamente, poi, iniziando a lavorarci è stato bello giocare fra il nome del posto e l’aggettivo intorno a cui si costruisce la storia. E’, idealmente, una storia d’amore, ma poi parla di come sia necessario passare per momenti oscuri, guastarsi, per apprezzare quello che si ha. Per poi riunire i pezzi e ritornare interi, più forti di prima. Ascolta Guasto