Rebecca Ferguson: una voce che viene dal cuore (di mamma) scritto da Alice Ziveri 1 Febbraio 2012 Rebecca Ferguson ha una storia da Cenerentola: mamma a 17 anni e poi a 19, alle prese con i compiti di una madre mentre finisce la scuola e poi inizia il college. La poca disponibilità economica non le permette nemmeno di avere l’elettricità in casa. Però questa ragazza di Liverpool ha un sogno: cantare. “Non ho ricordo di un momento della mia vita in cui non sapessi che volevo cantare” racconta ora ai giornalisti, in una grigia mattinata d’inverno Milanese. Già, perchè quel sogno è riuscita a realizzarlo: la sua chance è stata X Factor UK. Si presentò alle audizioni come una ragazza spaurita, che non riusciva neanche a staccare lo sguardo dalle punte dei piedi mentre cantava A Change Is Gonna Come – ma la sua voce aveva già fatto tutto. Nel corso del programma è come sbocciata, e ora il suo primo album, Heaven, è già ai vertici delle classifiche britanniche – si appresta ad arrivare anche in Italia, il 7 Febbraio. La sua voce calda e sabbiosa e i ritmi soul della sua musica (dei cui testi è autrice) non mancheranno di conquistare anche il nostro paese. Nonostante sia ancora poco conosciuta, in tanti vogliono parlare con lei: talmente tanti che, nella sala dove ci troviamo, non c’è neanche più spazio per sedersi e alcuni devono restare in piedi. Lei porta un tailleur con pantaloni nero, decolleté di vernice nude, un anello con una grande pietra viola e i lunghi capelli arricciati in morbidi boccoli. Le lunghe e folte ciglia finte incorniciano due occhi limpidi, sempre sorridenti e sinceri: Rebecca risponde alle domande soppesando le parole, di tanto in tanto fermandosi e guardando a terra come per ordinare i pensieri. Come per cercare di capire cosa ha veramente da dire, come se non avesse già risposto decine di altre volte a domande simili: è un bel segnale. “La mia città natale, Liverpool, è molto importante per me. Ha fatto di me quella che sono” esordisce. Anche se, in quella città, la sua infanzia non è stata molto semplice: madre single, cinque fratelli e condizioni economiche molto precarie. Viene da chiedersi cosa l’abbia aiutata a non perdersi mai d’animo… “La mia fede” risponde, “la fede nel fatto che sarei riuscita ad uscirne. Quando hai visto la sofferenza, hai visto la tua famiglia ferita… automaticamente sai che non vuoi la stessa cosa per i tuoi figli. Da piccola ho sempre saputo che la vita che stavo vivendo non era giusta, che non è così che dovrebbe essere. Ho sempre creduto che pur non avendo nulla, niente e nessuno sarebbe mai stato troppo per me e che avrei potuto avere tutto quello che desideravo se ci avessi messo la testa. Ecco cosa mi ha reso determinata”. Eppure la vita le ha posto davanti un altro ostacolo: una gravidanza ancora minorenne, a soli 17 anni. Ma lei non l’ha presa male, e nonostante il primo shock, adesso è con gli occhi che brillano e una voce dolcissima che parla dei suoi due bambini, Lillie May e Karl, e di come abbiano portato gioia nella sua vita: “Non so se sia solo in Gran Bretagna o se succede anche qui, ma possono esserci cattivi pensieri sull’avere figli da giovani. Sono tutti così concentrati sulla carriera, sui soldi, su tutte quelle cose che pensano che li renderanno felici. E’ proprio di questo che parla Nothing’s Real But Love: pensi che siano quelle cose che ti faranno felice, ma… sono i miei bambini che mi fanno felice, e non c’è niente che sia paragonabile. Sì, quando ho scoperto di aspettare Lillie May ho pensato “Bene, è finita. Cosa farò adesso?” – ma ho scoperto che semmai ti dà quell’attenzione in più, ti rende più determinato, perchè in tutto ciò che fai, hai due persone in più a cui pensare. Non dico che sia facile per tutti. Ma per me avere i miei bambini è stata una benedizione. Hanno reso la mia vita migliore“. Rebecca ha le idee ben chiare, sembra una ragazza molto più matura della sua età, con valori molto saldi e che nonostante sì, sa di essersi persa qualche frivolezza adolescenziale, forse, ma non la rimpiange poi tanto: “Semmai [avere figli] mi ha tenuta fuori dai guai. Molti dei miei amici e della gente con cui sono cresciuta, mentre io ero a casa a prendermi cura dei bambini, si sono cacciati in un mucchio di guai. Io ero a casa, a dipingere i muri e a cambiare i pannolini. Sì, è limitante sotto certi aspetti, soprattutto nel viaggiare. Non ho mai fatto le vacanze fra ragazze che facevano tutte le mie amiche… ma non so, dipende molto da cosa conta per te nella vita. Non c’è niente di davvero importante che mi sono persa, niente che non possa fare ora”. Quando qualcuno le chiede che genere di guai, scoppia a ridere, agita le mani e precisa subito che non è niente di illegale.“Oddio! Adesso penserete che i miei amici sono delle pessime persone!” dice fra le risate. Si continua a parlare più dei suoi bambini che della sua musica, ma non sembra dispiacerle… “Quando sono a casa prendono su una coperta e si inventano un piccolo palco, e vogliono che li guardi mentre cantano e ballano”. Parlando di musica e delle sue influenze, invece, è curioso come debba fermarsi e pensarci su un bel po’ prima di trovare qualche nome: Cher, Whitney Houston, Aretha Franklin, Sam Cook, Otis Redding… “Ma non sono mai stata un tipo da dischi: ascoltavo la radio, continuando a cambiare i canali. Dal classico al rock, ascolto tutto quello che mi piace, che è buona musica”. Ricorda invece benissimo gli albori della sua passione… “Avevo tre anni. Ero a casa di nonna, e c’erano amici di mamma dal Canada. Per cercare di tenermi tranquilla, siccome ero un po’ vivace, mi hanno dato carta e penna e mi hanno detto di fare un disegno. Invece io ho provato a scrivere una canzone. Questo è il più vecchio ricordo che ho, ma non è mai stata una domanda: mi sono sempre detta “Farò la cantante”. Sapevo che era quello che volevo essere”. E questa consapevolezza l’ha aiutata anche durante X Factor e una volta uscita: nonostante il team di autori fantastico che le è stato affiancato (gente che ha lavorato con Adele e James Morrison, per dirne due) lei ha voluto scrivere i suoi brani, e loro non hanno potuto fare altro che riconoscere il suo talento compositivo e lasciare che si esprimesse. “In questo tipo di show, penso che arrivando senza sapere chi sei come artista, non andrai molto lontano. Perchè altro faranno scelte al posto tuo, altri ti daranno cosa cantare, altri ti diranno come vestirti. Quando io sono arrivata a X Factor, invece, sapevo come volevo cantare, che genere di vestiti volevo indossare… gli esperti intorno a me non hanno fatto altro che valorizzare quello che stavo cercando di fare. Invece ho notato che spesso vi si trovano cantanti che non hanno un’identità artistica precisa, e se qualcuno dice loro “mettiti un abito viola o un tutù rosa” vanno sul palco così, vengono eliminati e poi danno la colpa allo show. Ma nessuno ti obbliga a far niente durante lo spettacolo, e se sai chi sei come artista non lascerai che nessuno ti ordini cosa devi fare. La voce è un dono per un cantante, e sta a te scegliere cosa farci: a te, e a nessun’altro“. Nonostante il tempo sia già terminato, Rebecca risponde con disponibilità a qualcheduno che, nel recuperare fogli, foglietti, borse e ciarpame vario, la intercetta per un’ultima domanda volante. Una gentilezza e una delicatezza che ritroviamo anche nel breve showcase della sera: quattro brani intervallati da sorrisi, “Thank you” e timide risatine. Quattro pezzi che lasciano davvero nell’aria la voglia di sentire ancora qualcos’altro…