Paolo Villaggio: scrisse una canzone per per De André Carlo Martello! (audio, testo e significato) scritto da Laura Valli 3 Luglio 2017 Non tutti lo sanno ma Paolo Villaggio non era solo un amatissimo attore ed una maschera dall’amara comicità. Da buon genovese Paolo Villaggio se la intendeva benissimo con il grande amico di Fabrizio De Andrè, per il quale scrisse i testi alcuni brani. Carlo Martello, fu scritta nel 1962 e racconta l’atteso ritorno dell’eroe dalla battaglia, ambientato in epoca medioevale Invece di proporre pensieri alti e di grande levatura morale, viveva desideri sessuali dopo una lunga e forzata astinenza dovuta alla guerra. La contrapposizione tra due diversi e opposti registri linguistici, sottolinea alla perfezione questo aspetto, passando dall’ideale linguaggio forbito e raffinato, al popolare istinto, a tratti, volgare. Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers – Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio Re Carlo tornava dalla guerra lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor. Al sol della calda primavera lampeggia l’armatura del Sire vincitor. Il sangue del Principe e del Moro arrossano il cimiero d’identico color ma più che del corpo le ferite da Carlo son sentite le bramosie d’amor. “Se ansia di gloria, sete d’onore spegne la guerra al vincitore non ti concede un momento per fare all’amore. Chi poi impone alla sposa soave di castità la cintura ahimé è grave in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”. Così si lamenta il re cristano s’inchina intorno il grano, gli son corona i fior. Lo specchio di chiara fontanella riflette fiero in sella dei Mori il vincitor. Quand’ecco nell’acqua si compone mirabile visione il simbolo d’amor nel folto di lunghe trecce bionde il seno si confonde ignudo in pieno sol. “mai non fu vista cosa più bella mai io non colsi siffatta pulzella” disse re carlo scendendo veloce di sella. “Deh, cavaliere non v’accostate già d’altri è gaudio quel che cercate ad altra più facile fonte la sete calmate”. Sorpreso da un dire sì deciso sentendosi deriso re Carlo s’arrestò ma più dell’onor poté il digiuno fremente l’elmo bruno il sire si levò. Codesta era l’arma sua segreta da Carlo spesso usata in gran difficoltà alla donna apparve un gran nasone un volto da caprone, ma era Sua Maestà. “Se voi non foste il mio sovrano” Carlo si sfila il pesante spadone “non celerei il disio di fuggirvi lontano. Ma poiché siete il mio signore” Carlo si toglie l’intero gabbione “debbo concedermi spoglia ad ogni pudore”. Cavaliere lui era assai valente ed anche in quel frangente d’onor si ricoprì e giunto alla fin della tenzone incerto sull’arcione tentò di risalir. Veloce lo arpiona la pulzella repente una parcella presenta al suo signor “deh, proprio perché voi siete il sire fan cinquemila lire, è un prezzo di favor”. “E’ mai possibile, porco d’un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane. Anche sul prezzo c’è poi da ridire ben mi ricordo che pria di partire v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”. Ciò detto, agì da gran cialtrone con balzo da leone in sella si lanciò frustando il cavallo come un ciuco tra i glicini e il sambuco il re si dileguò. Re Carlo tornava dalla guerra l’accoglie la sua terra cingendolo d’allor. Al sol della calda primavera lampeggia l’armatura del sire vincitor.