Istat:un giovane su cinque non studia e non lavora scritto da admin 23 Gennaio 2011 Un’incredibile indagine dell’Istat evidenzia che in Italia un giovane su 5 non studia e non lavora. Il target preso in esame comprende ragazzi dai 15 ai 29 anni che nel 2009 sono rimasti completamente tagliati fuori dalla società. I loro nomi non compaiono nelle scuole, non pagano le tasse, non versano contributi, in altre parole sono fantasmi la cui esistenza è notificata solo dal certificato di nascita. Il dato più preoccupante è che questi ragazzi il lavoro non lo cercano nemmeno. Le motivazioni dell’esilio volontario Le cause sono diverse: qualcuno ha conseguito una laurea e non trova lavori in grado di soddisfare le proprie aspettative intellettuali/economiche e piuttosto che accettare un’occupazione “di basso livello” preferisce rinchiudersi nell’inattività totale. Qualcun altro invece avendo una bassa scolarizzazione non è “appetibile” per gli standard odierni che richiedono una alta specializzazione ma non ha voglia di studiare per potersi costruire una professionalità da spendere durante i colloqui. Infine ci sono ragazzi che trovano molto più semplice farsi mantenere dai genitori e non intendono cambiare le dinamiche del mondo-bambino in cui si sono sempre mossi. La categoria sta diventando talmente ampia da essersi meritata una sigla identificativa: “neet“, acronimo che sta per “not in employment, education or training”. Terminologia a parte si tratta di prendere coscienza che una larga fetta di popolazione è inattiva rispetto al vivere sociale e che spesso questa degenerazione è causata da un sistema castrante che priva anche i più volenterosi di qualsiasi certezza per il futuro e di qualsiasi conferma del proprio valore. Stage, collaborazioni, contratti a progetto: la piaga del XX secolo Quante volte i ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro si sentono proporre stage non retribuiti finalizzati all’assunzione e poi si trovano a lavorare gratis per 3 mesi per poi cedere il posto ad altri che subiranno la stessa sorte? Quante volte giovani capaci che hanno dedicato anni allo studio si trovano a scontrarsi con retribuzioni ridicole che fanno venire voglia di prendere la laurea e appenderla al chiodo? Quanti ragazzi accettano di lavorare senza un contratto che regolarizzi la loro posizione e che offra loro garanzie per il futuro? Quanti vedono le aziende chiudere e trasferirsi all’estero in cerca di manodopera a basso costo? Tutto questo è da considerarsi parte delle cause che portano alla paralisi giovanile nei confronti del mercato del lavoro. La situazione attuale ha creato una crisi motivazionale prima ancora che economica da cui difficilmente si uscirà senza un cambio culturale adeguato. E’ necessario restituire la dignità alla categoria dei lavoratori. Inetti o vittime? A cosa sono veramente destinati i giovani d’oggi? Ad essere fantasmi della società? Emigranti coatti? Bamboccioni a vita? Quali sono le vere eccezioni: i dipendenti a tempo indeterminato o i neet? In che ottica si deve guardare la società? E’ ora di cominciare a capire che il mondo come lo conoscevano i nostri genitori è finito, che il lavoro sicuro che traghetta alla pensione non esiste più, che se si vuole ridurre la percentuale dei disoccupati si deve riconsiderare tutta la struttura degli orari e delle mansioni. Forse ha ragione Rifkin che nel suo saggio “La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato” teorizza che l’incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero un crescente numero di lavoratori e che l’unica soluzione è la ridistribuzione delle ore lavorative per garantire a tutti di svolgere un attività lavorativa decorosa e senza sperequazioni di reddito.