Intervista ai The Vaccines: “Come Of Age è un disco più libero e espressivo” scritto da Alice Ziveri 3 Ottobre 2012 Si sono fatti acclamare da tutto il pianeta con il loro album di debutto, What Did You Expect From The Vaccines?; Justin Young, Freddie Cowan, Arni Hjörvar e Pete Robertson si sono guadagnati paragoni a band come i Ramones, gli Strokes e i The Jesus & Mary Chain. La band inglese ha pubblicato il 4 Settembre un secondo disco, ancora più bello: Come Of Age. Trascinato dal primo singolo, Teenage Icon, in secondo album dei The Vaccines è stato creato praticamente on the road nel corso del 2011, fra un festival e un altro, fra camere d’hotel e aerei. Registrato poi fra Bath e il Belgio, Come Of Age è stato prodotto da Ethan Johns, un professionista che ha permesso ai ragazzi di guardare le cose sotto un nuovo punto di vista. Dopo avere passato un’intera giornata a impostare tutto quanto, trovare i giusti suoni di chitarra e accumulare lo spirito necessario, l’album è stato registrato interamente dal vivo. Ed è un disco di ricerca e sperimentazione. Così come ci hanno raccontato Young e Cowan, a Milano la scorsa settimana per la promozione del loro nuovo lavoro. Come mai questo titolo? Y: “Il titolo The Vaccines Come Of Age allude un po’ al fatto che ci si aspetta che una band diventi “matura” con il suo secondo disco. E’ un verso del primo singolo, esattamente come è successo con il primo disco, What Did You Expect From The Vaccines?. C piaceva anche l’elemento un po’ bubblegum di avere il nome della band dentro, l’hanno fatto anche i Beatles, i Rolling Stones… è un classico del pop anni ’60. Inoltre penso che la frase “it’s hard to come of age” (“è difficile diventare maggiorenne”) riassuma bene l’album dal punto di vista delle emozioni, dei sentimenti. E’ una sensazione che fa da fil rouge a tutto il disco.” Sembra che in questo album vi siate concessi più libertà. Y: “E’ vero. Nel primo album ci siamo imposti un po’ di costrizioni stilistiche, volevamo rendere tutto molto lineare, monodimensionale. Una specie di codice binario. Ci piaceva così, pensavamo fosse importante. Questo album, invece, è più espressivo, più libero, più dinamico, c’è stato un vero lavoro da musicisti. La cosa più importante erano le canzoni: una volta perfezionato un pezzo andavamo avanti, senza perderci nei dettagli del riverbero o di quello e quell’altro perchè “i The Vaccines dovrebbero suonare così”. E’ uno dei motivi per cui è un album molto vario, insieme al fatto che è un disco di ricerca, nel quale cerchiamo di capire qual è il nostro posto”. Com’è stato lavorare con Ethan Johns? C: “Grandioso. Siamo suoi ammiratori da anni. Il suo modo di approcciarsi al disco è stato molto istruttivo per noi, ha cambiato il nostro modo di vedere le cose. Non aderisce per forza al metodo tradizionale di registrare: prima la batteria, poi il basso, poi chitarra e poi, alla fine, la voce. Alla fine, ci ha detto, è la voce che guida la melodia. Se stiamo facendo musica melodica, perchè mettere la melodia per ultima? Abbiamo seguito il suo consiglio. Così la musica riesce davvero a respirare. L’importante, alla fine, è la sensazione che una canzone ti dà nel suo insieme, non in ogni singolo passaggio. Troppa perfezione è nociva, rende le canzoni più fredde e le priva dell’elemento umano”. Dopo tutto il successo ottenuto, vi sentite mai sotto pressione? Y: “Non ci siamo mai sentiti particolarmente sotto pressione. A meno che uno non vada a leggersi riviste e web ogni giorno, non c’è motivo di sentirsi messo sotto pressione da parte di nessuno, se non di te stesso. E’ una cosa naturale, vuoi migliorare, vuoi dare il massimo. Devo dire che noi abbiamo molta fiducia in quello che facciamo, e non lasciamo che i pareri degli altri ci preoccupino troppo. Vale per quelli positivi e negativi: ci sono persone che ci reputano molto migliori di quanto siamo realmente, altre che sono state molto ingiuste. Ma è fondamentale non lasciarsi influenzare, credere in ciò che si fa e restare concentrati. Siamo molto attenti a questo.” Il fatto di avere suonato così tanto nel corso dell’ultimo anno vi ha dato qualcosa in più? Y: “Certamente il fatto di suonare ogni sera ti fa migliorare. E il legame diventa sempre più profondo. Il primo album era sì registrato live, ma c’è stato comunque un gran lavoro di sistemazione, scelta dei take migliori eccetera, mentre questo è al 100% dal vivo. Ci sentivamo molto sicuri di noi come live band, e questo sicuramente viene anche dall’avere fatto tantissimi concerti. Al di là di questo, il fatto di suonare così tanto ti fa capire meglio come reagisce la gente alla musica, quindi ti dà una comprensione maggiore delle canzoni e della scrittura.” Cosa significa per voi stare sul palco? Y: “Cerchiamo davvero di dare tutto quello che abbiamo dal vivo. Scrivere e registrare è la parte artistica, ma è dal vivo che tutto diventa vero. Innanzitutto deve essere un divertimento per te, devi ricordarti che è il tuo sogno. Poi devi ricordarti che anche se tu hai viaggiato su e giù per il mondo, ci sono persone che hanno attraversato il paese per venire a vederti: quindi devi mettercela tutta. E’ fantastico quando il pubblico ti mostra calore ed energia, ma anche quando non accade devi essere in grado di guardare oltre. E’ importantissimo per noi scendere dal palco e sentire che abbiamo dato il massimo, che ci siamo impegnati così tanto che non abbiamo più forze.” Justin, le tue corde vocali però ne hanno risentito e hai dovuto affronatre tre operazioni.. C: “Quell’anno abbiamo fatto qualcosa come 50 Festival, quindi doveva succedere qualcosa. Eravamo tutti mezzi morti. Diciamo che non mi sono sorpreso quando è accaduto: è stato uno shock e ci ha fatto prendere paura, ma in qualche modo me l’aspettavo. Facevamo due concerti al giorno in paesi diversi, sempre in aereo, sui tourbus”. Y: “Ma ora sto bene.” Come avete scelto l’immagine di copertina dell’album? Y: “Il grafico è venuto da me con l’idea di mettere una ragazzina “maschiaccio” sulla copertina. Da lì ci è venuta l’idea di metterne quattro, che rappresentassero ogni membro della band. Poi ci piaceva molto l’aspetto androgino, adolescenziale, che confonde. Molti ci hanno chiesto ‘Sono ragazze o ragazzzi? Sono bambini? Siete voi?’. Una confusione che riflette bene quello che si trova nel disco, nei testi. Poi la foto è molto classica, regolare, non si riesce nemmeno a datarla, che penso sia una cosa importante.” Com’è stato il concerto in Italia, al Castello Scaligero? C: “Lo show in Italia è stato una sorpresa! Anche la venue era molto bella, in questo castello… il tempo non era il massimo, ma ci siamo abituati. Ha piovuto praticamente a tutti i Festival dove abbiamo suonato. Del tipo che in Corea c’era il sole fino a mezz’ora prima e poi ha diluviato, si è allagato tutto. Quando abbiamo finito, è tornato il sole. Al Coachella ha piovuto nel deserto, mai successo in 15 anni.” Nuovi concerti in vista? C: “La prossima settimana iniziamo il nuovo ciclo di tour che ci porterà in giro per il prossimo anno, o oltre. Asia, Australia, America, Europa… forse in Italia per Dicembre, ma non è ancora sicuro.”