Il Natale secondo D’Avenia: “una nuova bellezza che c’entra col quotidiano” scritto da admin 30 Dicembre 2011 “La bellezza è sempre stato affare da Greci. Un canone perfetto in cui la proporzione e l’armonia delle parti, il peso e il contrappeso sono perfettamente bilanciati, l’occhio riposa perché trova l’ordine per cui è stato fatto. Ecco, questa bellezza non c’entra con un bambino. Lui è come tutti gli altri bambini: armonia e proporzione chissà, forse verranno. Per ora è solo piccolo, ha pochi capelli, fa la cacca, rigurgita e piange”. Comincia così un articolo sul significato del Natale Alessandro D’Avenia, prof 2.0 che è balzato in testa alle classifiche nel 2010 con “Bianca come il latte, rossa come il sangue” (Mondadori, 254 pagine, 13 Euro) ed è da poco tornato nelle librerie con “Cose che nessuno sa” (Mondadori, 332 pagine, 19 Euro). D’Avenia, con l’ormai famoso piglio diretto e sognatore, entra quindi con questo articolo – pubblicato sul quotidiano Avvenire alcuni giorni fa – nel “mistero” del Natale, da lui definito “bellezza che nasce per me”. E prosegue: “La bellezza non è affare da gente nata nei paesini della Palestina. La bellezza è affare di scultori capaci di trasformare persino il vento in pietra, di pittori che sanno i colori di ciò che non si vede. La bellezza è artificio e perfezione. Non ha odore. Non è certo affare da falegnami e casalinghe, la bellezza. Non ha niente a che vedere con la vita quotidiana, la bellezza. Con i pannolini, le pappe, i pianti, le veglie e qualche sorriso non si sa ancora bene lanciato a chi. La bellezza è affare degli dei: loro sì che mangiano nettare e ambrosia, non si feriscono mai, fanno quello che vogliono. Sono bellissimi e fortissimi. (…) Non è certo affare di bambini la bellezza. Gli dei non sono mai stati bambini deboli e tanto normali da sembrare bambini qualsiasi di una coppia di poveracci, con lei incinta non si sa bene di chi. (…) La bellezza non riguarda i bambini ignoti di una periferia riottosa e cavillosa dell’Impero. Non riguarda bambini che devono imparare a gattonare, camminare, leggere e usare le buone maniere. Forse li sfiora la bellezza, perché ogni bambino è a suo modo bello, soprattutto quando sorride o stringe la mano attorno a un dito, ma quella non è una bellezza imperitura: (…) la bellezza è affare straordinario, non c’entra niente con la noia quotidiana di una famiglia qualsiasi, dopo una settimana dalla nascita del pupo. Finiti i festeggiamenti cominciano le occhiaie: (…) nella vita quotidiana tuttofinisce col rovinarsi, col rompersi, col non durare insomma. Per questo ci vuole quella bellezza da Greci, sinonimo di un per sempre perfetto e luminoso”. “Solo l’amore è l’unica cosa quotidiana che non finisca con l’annoiarmi” Conclude quindi D’Avenia: “Solo l’amore è un po’ così. Se non ci fosse quello non mi alzerei la mattina. L’amore per un libro, un paesaggio, un amico, una donna, una madre. È l’unica cosa quotidiana che non finisca con l’annoiarmi. Ma anche quello spesso si rompe e ‘che fatica rimetterlo a posto!’. Quando la trovo, quella bellezza, mi ci aggrappo come la cozza allo scoglio e la piovra alla sua preda, perché non scappi troppo presto, per lasciare solo un ricordo dolce-amaro”. “Con quel bambino, un’altra bellezza è entrata nel mondo: tutto diviene improvvisamente bello e divino” “Ma quel Bambino? È l’amore in persona? L’amore fatto persona? L’amore fatto limite e quotidianità? Non può essere. Se fosse vero, un’altra bellezza sarebbe entrata nel mondo, nel silenzio, quasi senz’arte. Tutto diverrebbe improvvisamente bello: i pannolini, le pappe, le veglie, i sorrisi e le lacrime. Tutto diverrebbe improvvisamente divino, perché non c’è niente di umano che quel bambino non debba fare: è un uomo e non c’è niente di umano che gli sia estraneo. “Una bellezza che c’entra con tutto, perchè tutto ha attraversato, una bellezza fecondata dai limiti” Questa è la notizia. Se è così, c’è per me una bellezza che non si rovina, che non si rompe, che non c’entra con il nettare e l’ambrosia, con la proporzione e l’armonia, ma c’entra con la vita quotidiana, con il sudore, i capelli, la pelle, le mani screpolate, la fatica, lo scoraggiamento, la tristezza, la paura, il fallimento, il sangue, il freddo e il sonno. Una bellezza senza perfezione. Una bellezza che c’entra con tutto, perché tutto ha attraversato. Una bellezza fecondata da limiti e sproporzioni, per partorire ciò che non passa. Io questa bellezza cerco. Questa bellezza nasce per me. In una stalla”. Foto: Marta D’Avenia