I giovani attratti dal guadagno facile e il finale nero scritto da admin 8 Gennaio 2011 Un’intervista al giovane direttore di una fondazione che si occupa di corsi di formazione professionale all’interno delle carceri, porta alla luce un problema di mal costume che si sta diffondendo a macchia d’olio in questi anni funestati dalla crisi economica e dall’iperconsumismo. Molti ragazzi (ma non solo) smaniano per possedere oggetti di culto (?) simboli di successo personale che consentano loro di far parte di una società malata e schiava dei consumi. Netbook, iPad, iPhone di nuova generazione, ma anche auto di lusso, vacanze esclusive e molto altro. Per esistere oggi devi possedere ma il mercato del lavoro ristagna e non offre in ogni caso stipendi adeguati allo stile di vita di chi vuole “esserci”. Per questo in tanti compiono passi falsi attratti da guadagni facili e si trovano intrappolati in meccanismi che finiscono per stritolarli. Affrontiamo l’argomento con una persona che tutti i giorni si confronta con la dura realtà e che da anni è in prima linea per aiutare le vittime di un sistema che abbandona chi ha smarrito la strada. Marco Girardello direttore dell’Area Tematica Carcere all’interno della Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Il Dott. Girardello dirige le tre principali attività della Fondazione che sono: formazione professionale, attività di inserimento lavorativo e simulatori di impresa, con lo scopo di aiutare i carcerati a costruirsi o ricostruirsi una professionalità che consentirà loro, una volta scontata la pena, di trovare un lavoro e una collocazione nella società. I laboratori si trovano all’interno delle carceri e producono beni che vengono collocati sul mercato esterno ottemperando per quanto è possibile alla legge di domanda e offerta. In carcere tante storie che meritano di essere ascoltate Gli chiedo come mai tra tutte le varie categorie di bisognosi presenti nella nostra società abbia deciso di dedicare tutto il suo tempo e le sue risorse per riabilitare persone che si sono macchiate di reati. La sua è una risposta che non ammette repliche: “bisogna avere il coraggio di mettere le mani gli occhi e anche un pezzo di cuore all’interno di quel mondo poiché ci sono tutta una serie di stereotipi e rappresentazioni ben consolidate che ci fanno credere che all’interno del carcere ci sia soltanto un sacco di spazzatura, mentre invece ci sono tante storie drammatiche che meritano attenzione.” Marco Girardello si sporca le mani, da quindici anni a questa parte lavora a stretto contatto con i reclusi e la sua opinione in questo campo è molto autorevole. Gli lancio una provocazione, gli dico che se una persona finisce in carcere in fondo ha quello che si merita, ma lui senza scomporsi replica che spesso le persone non hanno molta scelta ne molte possibilità di costruirsi una vita normale. I motivi sono svariati, la mancanza di istruzione, drammi familiari, il mancato accesso ad un lavoro qualificato solo per citarne alcuni. Mi dice chiaramente che sono pochi i detenuti che scelgono consapevolmente la via della criminalità. Ad ognuna di queste storie viene offerta l’opportunità di cambiare veramente vita, qualcuno la coglie e non torna più indietro, i più fragili invece ricadono nei propri errori e nel migliore dei casi riducono la propria esistenza ad una serie infinita di reclusioni o nel peggiore ci lasciano le penne. Per i giovani la droga è la vera piaga del nuovo millennio ma i costumi sono cambiati La doccia fredda, per chi scrive, arriva quando chiediamo se negli anni si è avvertito un mutamento di tendenza, se il costume ha influenzato in qualche modo anche la criminalità. La risposta è affermativa e sbalorditiva. Ebbene la maggior parte dei comportamenti devianti è creata dal gap tra le aspettative elevate e la capacità di produrre reddito. Le persone che riescono a portare a casa solo salari mediocri ma hanno la necessità di accaparrarsi beni di consumo costosi per essere considerati “fighi”agli occhi della società sentono rodere dentro il senso di inferiorità e trovano, come unica soluzione di guadagno, la criminalità. Ebbene lo spaccio di droga è l’unica via che molti trovano per poter acquistare beni di lusso. L’incredibile salto generazionale è evidente. Negli anni 70 si rubava per comprarsi l’eroina e ci si drogava per evadere, nel 2010 si vende cocaina per comprare cose e “ci si fa” per essere accettati dalla società. Il paradosso mi sconvolge me lo faccio spiegare più volte ma la sostanza non cambia. I ladri di polli sono rari come le mosche bianche, non si commettono reati per la sussistenza ma per avere il superfluo o per pigrizia. Quando ci si accorge che per portare a casa 1000 € bisogna lavorare 160 ore al mese si fanno due conti e si opta il “tutto e subito” con conseguenze devastanti. Specchio dei tempi Dov’è il vero inizio di tutto questo? La crisi economica? Gli errati modelli di comportamento? La scuola che insegna solo didattica? Le famiglie che non sanno trasmettere i valori? Il carcere è solo l’infezione la vera ferita è nel sistema. La società è un organismo malato che partorisce figli fragili. Girardello li raccoglie e cerca di dare loro quello che non trovano altrove: la dignità. Se è vero che molti abitanti del carcere non hanno scelta è anche vero che spesso chi ce l’ha preferisce buttare tutto alle ortiche. Per cosa poi? Un conto è un povero cristo che arriva da un paese straniero figlio della miseria e della disperazione che sbarca in Italia senza documenti ne lavoro senza conoscere una parola della nostra lingua che magari ha figli da sfamare e non trova altra via se non quella dell’illegalità. Altro è essere uno studente a cui non manca nulla con un padre e una madre che lavorano che va a spacciare droga per potersi comprare l’iPhone 4 perché il 3 è superato. Chi ha dato il via a tutto questo? Difficile dirlo ma sta peggiorando, sempre meno è il lavoro, sempre meno professionalità si costruisce nelle scuole e sempre più il consumo è l’imperativo categotico. Il carcere non è solo un luogo di detenzione è anche e soprattutto lo specchio del nostro tempo. Bisogna smettere di guardare con diffidenza le iniziative che promuovono le attività dei detenuti. Se si riesce a riportare sulla retta via una persona che si era persa allora forse c’è speranza che il messaggio venga recepito anche da noi che siamo “liberi” ma pur sempre schiavi di un condizionamento comportamentale che ci costringe ad assumere atteggiamenti devianti. Una vita spesa per la causa. L’alternativa possibile Marco Girardello ha solo 36 anni non è un vecchio che vive lontano dal mondo reale. Ha avuto tanto dalla vita, una famiglia agiata ed un futuro assicurato, ma ha preferito lasciarsi tutto alle spalle per aiutare gli altri. Dai primi anni ‘90 combatte contro i pregiudizi per salvare gli essere umani che vivono anni rinchiusi come bestie nell’ozio e nell’abbandono e che escono dalla prigione più incattiviti di quando sono entrati. La chiama “la mia malattia”. La sua malattia è quella di dedicare la vita a migliorare l’esistenza dei condannati, questo dimostra che se si hanno le idee chiare e il coraggio di portarle avanti con dedizione non serve altro. Mi cita la favola del piccolo colibrì che cerca di spegnere il fuoco della foresta portando la poca acqua che riesce a trasportare avanti e indietro e mi spiega che lui e quelli come lui sono tanti colibrì che giorno dopo giorno tentano di estinguere le fiamme del nostro tempo malato. Questa è la sua malattia, la nostra è quella di raccontare le storie delle persone straordinarie che ci circondano.