Ed Sheeran si racconta: “La fortuna non esiste. Esistono l’impegno e il duro lavoro” scritto da Alice Ziveri 27 Febbraio 2012 Chissà perchè, uno si aspetterebbe solo grasse risate e buffoneria da parte di un gingerhead, un ragazzo dai capelli rossi. Stupidi stereotipi. Ed Sheeran, inglese 21enne che sta conquistando il mondo con la sua chitarra e le sue parole, ha invece ben poco da scherzare quando si parla della sua musica. Risposte secche, zero esitazioni e le idee ben chiare in testa. “Non credo nella fortuna. Credo che la fortuna non sia altro che opportunità unita ad una forte etica del lavoro.” afferma, guardandoti fisso nelle pupille da dietro gli occhiali che gli ingigantiscono gli occhi blu. Non è maleducato, tutt’altro: quando arriva saluta cordialmente e stringe la mano a tutti i giornalisti presenti. Non è neanche burbero, semplicemente prende con molta serietà il suo lavoro – forse insolito per un ventunenne, ma non sorprende, se si pensa a quanta gavetta abbia fatto prima di arrivare qui. Cinque EP autopubblicati, centinaia di concerti in giro per il Regno Unito e viaggi a Los Angeles in cerca di fortuna. “Beh, è il mio lavoro. Lo devo prendere seriamente. Posso scherzare su qualsiasi altra cosa, ma se sono qui adesso è proprio perchè sono sempre stato molto focalizzato sul mio lavoro.” Pensa quindi di meritarselo? “No. Me lo sono guadagnato, ma non direi che me lo merito. Penso che niente sia dovuto a nessuno in questa vita, a parte la morte.” La sua è una musica che unisce la delicatezza delle ballate romatiche ad una grande cura dei dettagli linguistici, e che assume quasi le sembianze di un rap acustico nei pezzi più ritmati. E in quest’anno di maggiore notorietà nell’industry musicale ha già appreso un paio di cose: “Che non puoi piacere a tutti. E questa è una buona cosa. E che il 90% delle persone in questo ambiente non sa cosa sta facendo”. Niente risposte scontate, questo è sicuro. Come mai l’album si chiama +? In quel momento mi sembrava una buona idea quella di dargli un titolo che fosse un simbolo. Significa piena positività, è il passo successivo che si aggiunge, indica una crescita”. Da cosa nascono le parole delle tue canzoni? I testi vengono tutti da un punto di vista personale. Cose che ho vissuto e persone che ho incontrato. Ogni testo viene da qualcosa di molto veritiero. Non si dilunga troppo sulla sua canzone più famosa, The A Team: sì, dice che parla di una ragazza conosciuta in un rifugio per senzatetto, ma non va nei dettagli. Anche più tardi, durante lo showcase, non dice altro che “E’ una storia molto lunga. O la sapete, o… beh, è troppo lunga”. Come mai hai scelto di mettere Rupert Grint nel video di Lego House? Da che avevo 11 anni la gente non ha fatto altro che dirmi che somigliavo a Rupert Grint. Quindi non appena ho cominciato ad avere un po’ di successo mi sono detto che l’avrei voluto in un mio video, a fare la mia parte. Si è presentato l’opportunità e lui ha voluto farlo. E’ un tuo fan? Sì, è venuto ad un concerto con la sua famiglia quindi penso che sia un fan della mia musica. E tu sei fan di Harry Potter? Oh sì, sono un grandissimo fan di Harry Potter. Lo adoro. I media inglesi parlano di te e altri giovani cantautori inglesi come un ritorno dei singer-songwriters… Mah, penso che i media stiano ingigantendo un po’ le cose. I singer-songwriters non sono niente di nuovo, non se ne sono mai andati e non ci sono mai state ondate o periodi di vuoto. Da che mi ricordo c’è stato un buon cantautore ogni anno. David Gray e Damien Rice, James Blunt, James Morrison, Paolo Nutini… Non c’è mai stata una fase di arresto per i cantautori, e noi non siamo la nuova ondata, siamo solo dei nuovi cantautori. E’ una linea continua. Le persone vogliono canzoni d’amore, e noi siamo qui per cantarle. E’ vero che hai dovuto suonare 4 concerti di fila al Bar Fly perchè c’era troppa gente? Ecco, quella è stata la prima volta io e la mia casa discografica abbiamo avuto un diverbio. Ho detto che volevo fare uno show gratis. Era durante le vacanze scolastiche e di sabato. Conosco i miei fan meglio di chiunque, e mi ero fatto l’idea che potessero presentarsi circa mille persone. Ho indicato quale locale fosse opportuno prenotare. ‘No no, ti stai montando la testa’, mi hanno detto, ‘prendiamo un locale da 200 persone e vediamo come va’. Ho provato a controbattere ma poi ho lasciato perdere, mi son detto ‘bene, vediamo cosa succederà!’. E infatti sono arrivate mille persone. C’è stato un po’ di panico, e alla fine ho fatto tre concerti dentro e uno in strada. Forse è uscito meglio così, ma mi è dispiaciuto per chi si è perso lo show o ha aspettato fuori così a lungo. Hai scritto anche per gli One Direction… Sì, ho scritto per loro. Ho praticamente vissuto per sei mesi sul divano di questo ragazzo, Chris, che suona la chitarra per gli One Direction. Harry [Styles, ndr] era sempre lì, praticamente ogni mattina quando mi svegliavo lo trovavo in casa, abbiamo fatto amicizia. Lui era fan della mia musica, quindi mi ha detto ‘hey, stiamo mettendo insieme il nostro album, non è che hai qualche canzone che ti avanza?’ – e sì, ne avevo giusto una, gliel’ho data e l’hanno registrata, è venuta bene. Loro sono dei bravi ragazzi e lavorano sodo. Lavorerai ancora con loro? Sì, penso che lavoreremo ancora insieme! Gli ho appena dato un’altra canzone per il prossimo album. Alla fine scrivo una marea di canzoni, alcune sono perfette per me, altre no. Ma sono perfette per altri. E poi non mi piace buttar via le canzoni. Per chi altri ti piacerebbe scrivere? Beh, ti direi che mi piacerebbe scrivere con gente come Stevie Wonder, ma mi sentirei un po’ a disagio a scrivere per loro. Sono troppo importanti. Ma mi piacerebbe scrivere per qualsiasi pop band che abbia voglia di lavorare duramente… al di là di quello che cantano – alla fine il pop è pop – basta che siano pronti a metterci impegno e dedizione. Ed dice che i suoi fan non sono quelli che strillano, piangono e impazziscono. Una cosa bisogna riconoscerla alle fan di Ed Sheeran, almeno a quelle che sono presenti al piccolo showcase alla Santeria di Milano (vincitrici di un concorso): sono le uniche fan italiane che sanno l’inglese. Non solo capiscono quando Ed parla, e alzano i pollici quando chiede di alzare i pollici se stanno capendo. Ma rispondono e interagiscono, qualcuno butta lì un “Hopefully soon!” quando il cantante parla di tornare in Italia. Accidenti! Lo showcase comprende 5 canzoni: Grade 8, The A Team, Give Me Love, Lego House e You Need Me, I Don’t Need You, sulla quale il ragazzino dalla testa rossa scompare, allontanandosi dal palco con la chitarra mentre canta insieme alle fan. Con loro ha uno splendido rapporto, sorride ed è entusiasta di vedere che sanno tutte le parole delle sue canzoni. Prima di finire Ed ha fatto passare di mano in mano una costruzione di Lego: “Siete circa in cento, e qui ci sono circa cento mattoncini. Potete prenderne uno a testa, così sono sicuro che ad ognuno di voi resterà qualcosa di questa serata”. Guarda la gallery [nggallery id=331]