Mahmood è la popstar di cui l’Italia aveva bisogno scritto da Alberto Muraro 13 Febbraio 2019 Anno domini 2012. Alessandro Mahmoud in arte Mahmood, un ragazzone italo-egiziano, partecipa alla sesta edizione di X Factor 12. In pochi, purtroppo, si accorgono del suo talento. Fra questi pochi c’è anche il sottoscritto, che si permette persino di inviare all’artista una richiesta d’amicizia, rapidamente accettata, su Facebook. Alessandro viene quasi subito ripescato in trasmissione, per essere eliminato alla prima puntata. In gara, Mahmood presenta Masterblaster di Stevie Wonder, una canzone che, è evidente, lo rappresenta a metà e che risponde a quella logica secondo cui l’artista dalla pelle ambrata ai talent debba per forza cantare soul. Ma la voce di Mahmood non è soul, non è pop. È semplicemente qualcosa di diverso, su un altro livello. Mahmood si ritrova presto a doversi rimboccare le maniche. Pubblica un singolo in inglese, Falling Rain, che (come mi raccontò dal vivo, un pomeriggio passato insieme) non lo rappresenta al 100%. Anche nel brano presentato in gara a Sanremo 2016, Dimentica, si manifesta soltanto in nuce quello che è il suo vero talento compositivo, tant’è che Alessandro sparisce nuovamente nel dimenticatoio. Universal Music, la sua casa discografia, non smette però di scommettere su di lui. Chiamala fortuna, chiamala lungimiranza. Gli esperti di settore e gli adetti ai lavori (fra cui molti amici dell’artista) non smettono mai di credere in Alessandro. Ecco perché nell’ultimo paio d’anni, Mahmood riesce comunque a sganciare le sue bombe. Prima Pesos, poi Uramaki. Se ne accorgono ancora in (troppo) pochi, ma è l’inizio di un percorso in discesa. Nell’estate 2017, Alessandro scrive il suo primo vero capolavoro. Presi Male, questo il titolo del pezzo in collaborazione con Michele Bravi, passa quasi completamente inosservato eppure manifesta l’approccio alla composizione di Mahmood. I testi dell’artista hanno riferimenti reali, concreti. Non c’è niente di ideale, ma è tutto fortemente agganciato alla realtà. L’amore non è amore, ma è una serie tv guardata in dolce compagnia. La tristezza non sono lacrime, ma una testa china e assente su uno smartphone, Nel 2018, il mix fra Oriente e Occidente, Nord e Sud, centro e provincia, paese e approccio globale esplode in Nero Bali, tormentone di Elodie, Michele Bravi e Guè Pequeno prodotto dal fidato Dario Faini/Dardust che consacra definitivamente Mahmood come uno degli autori italiani (finalmente) più apprezzati. È un cercho che si completerà pochi mesi dopo, con il lavoro su Hola, secondo fortunatissimo singolo di Marco Mengoni, e con la firma, più che riconoscibile, sul brano Rivoluzione. Quando Mahmood ha vinto il Festival di Sanremo 2019, a sorpresa, con Soldi (personalmente, ho ancora l’adrenalina addosso) è stata scritta una nuova pagina della musica italiana. Le implicazioni della vittoria di Alessandro ad un festival nazionalpopolare come quello di Sanremo sono talmente tante che non basterebbero dieci articoli per scriverne. Soldi non è soltanto una canzone ma è anche e soprattutto manifestazione di una voglia di cambiamento, della necessità di un rinnovamento della musica italiana, da un punto di vista compositivo e lirico. Alessandro ha vinto un festival notoriamente melodico con un devastante morrocan-pop (questo è il neologismo da lui stesso coniato) fatto di beat, di drop e condito dai suoni speziati del suo retaggio culturale arabo. Originale, multietnico, lontano dagli stereotipi, a tratti spiazzante, con i suoi good vibes, Mahmood è la popstar di cui l’Italia aveva disperatamente bisogno e che il mondo ci invidierà all’Eurovision Song Contest 2019. Andiamo a prenderci Tel Aviv, Alessandro, è arrivato il nostro momento. Che ne pensate di Mahmood?