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Emma Watson parla di femminismo e uguaglianza alle Nazioni Unite

scritto da Francesca Parravicini

Emma Watson è proprio una ragazza d’oro. E’ diventata famosa con il personaggio di Hermione, una ragazza tosta, che sa usare la testa (e anche il cuore) e non ha di certo bisogno di aiuto per uscire dalle situazioni difficili. E bellissima e famosissima, eppure mantiene un profilo basso, non si abbandona a eccessi da super-star, studia e si comporta come una ragazza normale.
Per questo e tanti altri motivi Emma è stata eletta ambasciatrice dell’ONU per i diritti delle donne.

Lo scorso sabato Emma ha tenuto un discorso nella sede delle Nazioni Unite a New York, per lanciare la campagna HeforShe, a favore dell’uguaglianza di genere. Le sue parole sono molto belle, piene di significato e maturità: per questo vi riportiamo il suo intervento per intero:

Oggi lanciamo una campagna che si chiama “HeforShe”. Ve ne sto parlando perché ho bisogno del vostro aiuto. Vogliamo porre fine all’inuguaglianza di genere e per questo abbiamo bisogno di voi.

E’ la prima campagna di questo tipo per l’UN: vogliamo provare a convincere più uomini e ragazzi possibili a diventare avvocati dell’uguaglianza di genere. E non ne vogliamo solo parlare, ma fare qualcosa di concreto.

Sono stata nominata testimonial sei mesi. fa e più parlo di femminismo più mi rendo conto che combattere per i diritti delle donne per alcuni è diventato sinonimo di “odiare gli uomini”. E’ una cosa che deve finire.
Per definizione il femminismo è: la convinzione che uomini e donne debbano avere gli stessi diritti e opportunità. E’ la teoria dell’uguaglianza politica, economica e sociale dei sessi.

Ho iniziato a dubitare dei pregiudizi di genere quando a otto anni mi hanno chiamato “tosta”, perché volevo dirigere gli spettacoli che facevamo per i nostri genitori, mentre i ragazzi no.

Quando avevo 14 anni la stampa a iniziato a sessualizzarmi.

A 15 anni le mie amiche hanno lasciato le loro squadre sportive perché non volevano diventare troppo “muscolose”.

A 18 anni i miei amici maschi erano incapaci di esprimere le loro emozioni.

Ho deciso di essere una femminista e non mi sembrava una cosa complicata. Ma le mie recenti ricerche hanno mostrato che femminismo è diventata una parola impopolare. Apparentemente sono nel gruppo di quelle donne che sono viste come troppo forti, aggressive, anti-uomini e poco attraenti.

Perché questa parola è così scomoda?

Sono inglese e penso che sia giusto che in quanto donna venga pagata come un uomo. Penso che sia giusto che possa prendere le decisioni sul mio corpo. Penso che sia giusto che le donne siano coinvolte nella politica del mio paese. Penso che sia giusto per me avere lo stesso rispetto che hanno gli uomini. Ma purtroppo posso dire che non c’è un paese al mondo dove tutte le donne possono aspettarsi di ricevere questi diritti.

Nessun paese al mondo può ancora dire che ha raggiunto l’uguaglianza di genere.

Questi diritti li considero come diritti umani, ma sono fortunata. La mia vita è privilegiata perché i miei genitori non mi hanno amata di meno anche se sono una femmina. La mia scuola non mi ha limitato perché ero una ragazza. I miei mentori non hanno pensato che non avrei fatto strada perché un giorno avrei partorito. Queste persone mi hanno resa l’ambasciatrice per l’uguaglianza di genere che sono oggi. Magari non lo sanno ma sono stati femministi. E ne abbiamo bisogno di più. E se continuate a odiare la parola, non è la parola che è importante ma l’idea e l’ambizione che c’è dietro. Perché non tutte le donne hanno avuto la possibilità di avere i miei stessi diritti. Infatti, secondo le statistiche, sono  poche ad averli ricevuti.

Nel 1997, Hilary Clinton fece un famoso discorso a Pechino sui diritti delle donne. Tristemente, molte delle cose che voleva cambiare allora, esistono ancora oggi. Ma quello che mi ha colpito di più, è che meno del 30% del pubblico era composto da uomini. Come possiamo influire sul cambiamento nel mondo quando solo la metà di esso è invitato o si sente benvenuto a partecipare alla conversazione?

Uomini. Vorrei cogliere quest’occasione per estendervi un invito. La parità di genere è anche un problema vostro. Perché fino a questo momento, ho visto il ruolo di mio padre considerato meno importante dalla società, nonostante da piccola avessi bisogno della sua presenza tanto quanto quella di mia madre. Ho visto giovani uomini affetti da malattie mentali, incapaci di chiedere aiuto per paura di apparire meno virili, o meno uomini. Infatti, nel Regno Unito il suicidio è la prima causa di morte degli uomini tra i 20 e i 49 anni, eclissando incidenti stradali, cancro e malattie cardiache. Ho visto uomini resi fragili ed insicuri dalla percezione distorta di cosa sia il successo maschile. Neanche gli uomini beneficiano dei diritti della parità di genere. Non parliamo molto spesso di come gli uomini siano imprigionati dagli stereotipi di genere, ma riesco a vedere che lo sono. E quando ne saranno liberati, come conseguenza naturale le cose cambieranno anche per le donne. Se gli uomini non devono essere aggressivi per essere accettati, le donne non si sentiranno in dovere di essere sottomesse. Se gli uomini non devono controllare, le donne non dovranno essere controllate. Sia gli uomini che le donne devono sentirsi liberi di essere sensibili. Sia gli uomini che le donne devono sentirsi liberi di essere forti. E’ tempo di concepire il genere su uno spettro, e non come due serie di valori opposti. Se smettiamo di definirci l’un l’altro in base a cosa non siamo, e cominciamo a definire noi stessi in base a chi siamo, possiamo essere tutti più liberi. Ed è di questo che si occupa He For She. Di libertà.

Voglio che gli uomini prendano su di sé questo impegno, così che le loro sorelle, madri e figlie possano essere libere dai pregiudizi, ma anche perché anche i loro figli possano avere il permesso di essere vulnerabili e umani. Rivendichiamo quelle parti di loro che hanno abbandonato e così facendo permettere loro di essere una versione più vera e più completa di loro stessi.

Magari starete pensando: chi è questa tipa di Harry Potter? E che diavolo ci sta facendo a parlare all’ONU? E’ una buona domanda. Mi sono chiesta la stessa cosa. Tutto quello che so è che mi importa di questo problema e che voglio far sì che le cose migliori. Avendo visto quello che ho visto e avendone l’opportunità, credo che dire qualcosa sia una mia responsabilità.

Lo statista Edmund Burke ha detto che per far sì che il male trionfi, tutto ciò che serve è che bravi uomini e brave donne non facciamo niente. Nella mia agitazione per questo discorso, e nei miei momenti di insicurezza, mi sono detta con fermezza: se non io, chi? Se non ora, quando? Se avete dei dubbi simili, quando vi si presentano delle opportunità, spero che queste parole vi siano d’aiuto. Perché la realtà è che se non facciamo niente, ci vorranno 75 anni, o che io compia quasi 100 anni, prima che le donne possano aspettarsi di essere pagate tanto quanto gli uomini per lo stesso lavoro. 15 milioni e mezzo di ragazze si sposeranno nei prossimi sedici anni e lo faranno da bambine. E con questi ritmi, non sarà prima del 2086, che tutte le ragazze della campagna africana potranno ricevere un’educazione di livello secondario.

Se credete nella parità, potreste essere uno di quei femministi involontari di cui ho parlato prima e per questo, mi complimento con voi. Stiamo facendo fatica a trovare una parola che ci unisca, ma la buona notizia è che abbiamo un movimento che ci unisce. Si chiama He For She. Vi invito a farvi avanti, a farvi vedere e a chiedervi: se non io, chi? Se non ora, quando?.

Insomma Emma: tanto di cappello!